Nel precedente contributo abbiamo visto i principi generali sottostanti alla costruzione del DSCR, nella sua formulazione di base che lo vede come un rapporto tra flussi finanziari.
Vediamo ora le varie modalità di calcolo del DSCR, modalità che si manifestano all’interno di questi due mondi:
- il mondo delle BANCHE;
- il mondo del CODICE DELLA CRISI.
Come noto le banche, a seguito delle crisi economiche iniziate verso la fine del primo decennio del 2000, hanno modificato radicalmente il loro iter di valutazione dei potenziali clienti, a causa delle sempre crescenti pressioni da parte della Banca Centrale Europea (BCE) e dell’Autorità Bancaria Europea (EBA).
Infatti, in collaborazione con le autorità nazionali di vigilanza, sono stati aumentati i controlli sulle banche, che vengono ora sottoposte a valutazioni approfondite allo scopo di analizzarne lo stato di salute finanziaria e la resistenza a eventuali shock di natura macroeconomica e/o finanziaria (purtroppo ormai sempre più frequenti).
Queste valutazioni sono basate su due fasi distinte:
- un esame di qualità degli attivi (Asset Quality Review), vòlto ad aumentare la trasparenza degli istituti sulle proprie esposizioni, sull’adeguatezza delle proprie attività e dei relativi accantonamenti a copertura dei rischi;
- uno stress test, ovvero un’analisi per scenari, in cui viene monitorata la redditività e più in generale la tenuta della banca a seguito di un ipotizzato shock dell’economia.
I principali istituti di credito, a seguito di tali misure si sono progressivamente allineati alle disposizioni comunitarie, cominciando ad adottare internamente dei modelli valutativi, con riguardo ai propri dati di bilancio e a quelli delle aziende clienti. In particolar modo la seconda fase valutativa, quella cioè incentrata sugli effetti di probabili shock economici, ha messo in risalto l’importanza per le banche di monitorare costantemente alcuni indici chiave, allo scopo di tentare di prevedere la maggiore / minore resistenza dell’azienda a uno shock macroeconomico.
Questi indicatori, ricavati dai dati dei bilanci aziendali o dal sistema della Centrale Rischi, sono ormai adottati largamente dagli Istituti finanziari, per la loro immediatezza ed accuratezza nel prevedere la sostenibilità finanziaria dell’impresa in un dato orizzonte temporale.
La formula più diffusa nel mondo bancario è anche la più semplice e immediata, ed è la seguente:
La grande semplificazione evidenziata dalla formula consiste nell’utilizzare al numeratore non un flusso come vorrebbe la formulazione originale del DSCR, bensì una grandezza economica: l’EBITDA. Questo in quanto l’EBITDA, essendo un margine reddituale che misura l’utile d’esercizio prima di ammortamenti e svalutazioni (che sono costi non monetari), interessi, componenti straordinari e imposte, viene considerato una proxy del flusso di cassa operativo. Ciò semplifica molto il lavoro dell’istituto di credito, che in questo modo riesce a calcolare il DSCR con dati facilmente reperibili; per un valutatore esterno all’impresa, infatti, può non essere semplice andare a individuare i flussi finanziari, specialmente se tale operazione va ripetuta su un numero elevato di aziende clienti.
Una formulazione leggermente più elaborata è la seguente, in cui il cash flow stimato in maniera approssimativa dall’EBITDA viene affinato considerando anche l’effetto sia delle variazioni del Capitale Circolante Netto che dell’uscita di cassa dovuta alle imposte:
Un’ulteriore variante della formula tradizionale del calcolo del DSCR tiene conto, oltre che dei debiti rateali verso le banche, anche dei debiti tributari e/o contributivi scaduti e/o rateizzati, la cui data di pagamento ricade nell’orizzonte temporale considerato nel calcolo dell’indicatore. Una tale metodologia di calcolo è utile soprattutto nel caso in cui la banca si trovi di fronte ad aziende con importanti debiti fiscali o previdenziali non pagati entro le scadenze.
In questo caso la formula diventa:
Abbiamo già visto in precedenza come il valore assunto dal DSCR dovrebbe essere sempre superiore alla soglia minima di 1,10, sebbene per essere considerato ottimale dovrebbe superare la soglia di 1,25.
Nell’ottica del già citato Asset Quality Review, un calo dell’indice al di sotto della soglia di 1,10 darà origine a un impairment trigger, con conseguente riclassificazione del debitore, che verrebbe declassato da performing loan a underperforming loan o perfino nonperforming loan, con la conseguenza per la banca di dover effettuare accantonamenti largamente superiori a copertura di eventuali future perdite.
Per completezza si presenta la seguente formula, proposta da autorevole dottrina come le formula più completa e affidabile per il calcolo del DSCR:
Il pregio di tale formula, invero non così diffusa, sta nell’affinare ancora di più il calcolo dei flussi eliminando gli effetti distorsivi del leasing, dovuti alla sua contabilizzazione con metodo c.d. “patrimoniale”, che costringe gli operatori contabili delle imprese non-IAS a considerarlo come costo e non invece come debito, come invece vorrebbe la natura dell’operazione stessa.
Calcolando il DSCR in questo modo, il numeratore aumenta perché l’EBITDA viene depurato dai canoni leasing in esso contenuti (cioè vengono sommati i costi per canoni leasing); allo stesso tempo, anche il denominatore aumenta per tenere conto delle uscite finanziarie dovute al leasing: ne risulta un DSCR sicuramente più veritiero e attendibile.
Nel prossimo contributo verranno analizzate le modalità di calcolo del DSCR riferite all’approccio del CNDCEC nell’ambito della crisi d’impresa.